Expert Insights: Andrea Tremolada
Grande appassionato di aereonautica ed esperto pilota, Andrea Tremolada ama le sfide.
“Ho accettato questo incarico con lo stesso spirito e la stessa passione con cui nel 2000, a soli 33 anni, ho effettuato la trasvolata atlantica, con l’aereo Falco che costruii in 15 anni”.
Coerentemente con le guideline strategiche del brand e di tutte le politiche e iniziative che concorrono a supportare il business e la brand awareness, Andrea Tremolada è responsabile della comunicazione worldwide e dei progetti di marketing a livello globale per il gruppo Geox.
Dall’ADV alla comunicazione corporate e al marketing. Ci può raccontare come è evoluto il suo ruolo e quali sono gli aspetti peculiari del lavoro nel marketing rispetto alle sue esperienze precedenti?
Nasco come pilota commerciale, ma già allora avevo una grande passione per le arti visive, la grafica, la fotografia, il linguaggio video. Da una parte, come autodidatta, mi dedicavo alle arti figurative, dall’altra al volo. Divenni comandante molto giovane, a 22 anni, ma capii presto che quel lavoro così monotono non stimolava la mia creatività. Tornai quindi a studiare e iniziai a lavorare come copy freelance per diversi brand, ogni volta immaginando come io stesso ne avrei realizzato le campagne di comunicazione. Inventai la campagna “Sector - No Limits”. In che senso? Sviluppai il progetto e lo presentai ad un orologiaio. Da lì prese vita il primo esempio di sponsorizzazione pubblicitaria sportiva e, in particolare, con gli sport estremi.
Nel 1992 tornai negli Stati Uniti, avevo 27-28 anni. Scelsi Miami perché amavo il mare. Lì vidi la casa di Gianni Versace e mi dissi: “Non ho mai lavorato nella moda”. Mandai un fax, videro il mio cv molto variegato e mi chiamarono. Lavorai con Gianni Versace dal 1994 al 1997 e insieme inventammo diversi prodotti. Inventammo il groupage pubblicitario, che si rivelò molto efficace in quei tempi in cui le riviste “facevano la moda”.
Sempre come consulente freelance, fui poi contattato da Salvatore Ferragamo, per il quale avevo sempre sognato di lavorare perché ho sempre amato le scarpe. Per un periodo lavorai contemporaneamente per Gianni Versace, Tom Ford e Salvatore Ferragamo. Nel 2006-2007 con l’ingresso di Michele Norsa come AD, mi fu chiesto di prestare la mia opera unicamente per Ferragamo lasciando le altre consulenze.
Nel 2013 sentii l’esigenza di intraprendere una nuova sfida, perché nonostante il rapporto con Salvatore Ferragamo fosse molto solido e consolidato, non avevo gli stimoli necessari giorno dopo giorno per ripensare l’azienda.
E infine, dopo tre anni con Roberto Cavalli, durante i quali vi furono diverse due diligence da parte di fondi interessati all’acquisto del brand, sono approdato in Geox… la mia prima esperienza con un brand di largo consumo.
Mi occupo spesso io stesso della parte creativa. Ora l’obiettivo che mi sono posto, la mia sfida, è rendere Geox un brand più “cool” e più vicino ai giovani e al mondo contemporaneo. La mia vita è sempre stata fatta di passione e continue sfide.
Quando ha capito che il settore della moda era quello giusto per lei?
La moda è divertente, ma a me piacciono la creatività e la comunicazione. La moda mi piace perché si rinnova e si reinventa in continuazione. Mi fermo spesso a riflettere se è la moda che influisce sui cambiamenti della società, sugli usi e costumi o se, viceversa, è la società che trasmette segnali di rinnovamento alle aziende del settore… Mi diverto a fare un esercizio creativo, a pensare un progetto e svilupparlo, non importa che sia per un brand di moda, per un orologio, per un’iniziativa di responsabilità sociale o altro. Tutto è una sfida per me.
Mi piace vendere un sogno… che sia un frigo o una scarpa, è quello che ci costruisci intorno che fa lo storytelling che fa vendere. Generalmente quando sposo un progetto e lo trasformo in sfida, seppur resti un libero professionista, lavoro full time per l’azienda che mi investe della propria fiducia.
La mia è una figura più frequente negli Stati Uniti, mentre nelle realtà italiane ha ancora pochi casi: non esiste infatti una traduzione per “entrepreneur”, che è proprio l’attitudine imprenditoriale all’interno di un’azienda.
Come è cambiato il settore delle calzature negli ultimi 10 anni?
Le sneakers assorbono gran parte del mercato. Anche nel formale è cambiato tantissimo il costume. Basti pensare a brand come Brioni, Church’s o lo stesso Salvatore Ferragamo, che fino a qualche anno fa non proponevano sneakers. Un tempo le scarpe sportive erano usate solo in occasioni sportive.
È cambiato il modo di vestirsi… guardate come è diminuito l’uso della cravatta!
Spesso le scarpe che indossi influenzano il look definitivo: ci si veste a partire dalla scarpa e poi si sale, mentre prima il processo era top down.
Cosa vede nel futuro del settore delle calzature?
Sempre più aziende si stanno buttando nel settore delle calzature perché è molto più facile venderle rispetto ad altri accessori e capi. Il consumatore è attento alla moda e la scarpa è sempre più importante, sia nel settore maschile che in quello femminile. Tuttavia credo che questo settore abbia ancora spazio per crescere e allargare i mercati.
Nel gap che si è creato tra scuola e mondo del lavoro, di che cosa hanno bisogno le aziende e che cosa potrebbero fare le scuole di moda per formare al meglio i giovani talenti?
La creatività è l’aspetto che manca più spesso. Faccio tantissimi colloqui e quello che consiglio sempre ai giovani che incontro è di essere consapevoli che, se vorranno esprimere la propria creatività, dovranno essere sempre indipendenti e lavorare come liberi professionisti.
L’altro consiglio ai giovani è di essere ancora capaci di sfogliare la carta, e non accontentarsi del web. Le scuole dovrebbero spiegare che non esiste solo internet, che esiste un archivio di riviste che hanno fatto la storia della moda e da cui ancora oggi si può imparare molto. È la cultura generale che manca, andare in biblioteca e sfogliare libri e riviste. Quando mi capita di vedere moodboard creati con ricerche su internet, risultano pressoché tutti identici e “piatti”.
E poi ovviamente consiglio di essere poliedrici, viaggiare, vivere e fare tante esperienze, crearsi un bagaglio da portarsi nel quotidiano.
Come si conciliano l’aspetto creativo e quello business nelle collezioni GEOX? Quali sono le figure professionali e le skills maggiormente ricercate in azienda?
Geox è un colosso con 1.300 negozi nel mondo, è un’azienda molto strutturata che ruota intorno alla personalità molto forte del suo proprietario, un visionario che ha saputo creare un impero da un’idea sviluppata con oltre 35 brevetti e diverse tecnologie. Il suo entusiasmo e la sua caparbietà mi sono di esempio per intraprendere un lavoro che renda attuale un brand sorto oltre 25 anni fa e che ha saltato una fase di allineamento con usi e costumi attuali nel campo della comunicazione.
Sono stato il primo a riuscire a cambiare la creatività del brand, sostituendo il ferro da stiro, storica immagine di Geox. È importante rompere gli schemi perché un’azienda si rinnovi, cresca e faccia qualcosa di diverso… ed è importante affiancarsi a persone che la vedano diversamente e sappiano partire da ciò che è stato fatto per rielaborarlo in modo innovativo.
In tutte le aziende, le figure professionali più ricercate sono quelle a cavallo tra e-commerce e digital.
L’e-commerce è un’attività molto giovane per tutte le aziende e dunque la formazione sul campo è molto giovane.
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